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4/17/2024 | Daniele Barzaghi
“L’innovazione digitale come quella rappresentata dall’Open Finance è destinata a trasformare l’industria del private banking, ma non stravolgerà il nostro modello che si basa sul vendere non un prodotto ma un servizio” esordisce Federico Taddei (a sinistra, tra i tre relatori), vice direttore generale e responsabile Private banking di Ersel, aprendo la tavola rotonda degli operatori del settore durante l’incontro “Open Finance, nuove opportunità per la consulenza evoluta” presieduto da Andrea Ragaini, numero uno di AIPB, e Mauro Panebianco di PwC (qui l'articolo introduttivo all'evento).
“E anche quelli che nella nostra strategia appaiono prodotti in realtà sono dei servizi” prosegue. “L’innovazione digitale è assolutamente complementare e a supporto dei private banker. Già oggi, ad esempio, facciamo primi incontri di conoscenza e sviluppo con clienti prospect direttamente con appuntamenti online. Una modalità impensabile fino a poco tempo fa”.
“Noi poi siamo una boutique di private banking e a maggior ragione nel nostro caso la relazione umana tra banker e cliente è cardinale. E infatti, per scelta, il nostro sito non è un sito dispositivo – ovvero una piattaforma in cui il cliente accede e opera direttamente –. Non può fare scelte di investimento senza l’ausilio del banker. Una scelta forte, in controtendenza rispetto a operatori più grandi, ma propria del Dna di una boutique”.
“L’intelligenza artificiale è naturalmente il fattore innovativo più rilevante nell’ambito tecnologico. Nel nostro caso si traduce in un helpdesk evoluto, ad uno interno del banker, che possa facilitare l’attività quotidiana di soluzione dei problemi, e una standardizzazione della personalizzazione, apparentemente ossimorica, lavorando sui grandi numeri in maniera molto efficiente”
“Dal punto di vista dell’Open Banking, anticipatore dell’Oper Finance racconto la mia esperienza: l’ho fatto ma dopo due giorni l’ho chiuso; non vedevo grossi vantaggi e anzi vedevo qualche rischio. La sensazione è che chi lo abbia inventato e normato non sia partito dalle esigenze dei clienti e degli operatori”.
“I nostri driver sono comuni ma diversa la declinazione rispetto alla testimonianza di Federico” si collega Andrea Binelli (al centro, tra i tre relatori), responsabile direzione Wealth management di Crédit Agricole Italia, e quindi foriero dell’esperienza di un gruppo internazionale. “La nostra dimensione europea ci consente un vantaggio in termini di economie di scala. Il poter analizzare tanti dati velocemente ci ha consentito già da anni di valutare l’evoluzione delle correlazioni con grande efficienza. Abbiamo sperimentato l’intelligenza artificiale nell’ambito della gestione patrimoniale di clienti giovani e quindi con masse minori e il riscontro positivo è stato talmente evidente che abbiamo intrapreso un percorso di adeguamento alla parte alta della clientela, nel private banking, con maggiore customizzazione e maggior supervisione”.
“Memori dell’insuccesso dell’industria riguardo all’Open Banking di cinque anni fa ci muoviamo ora con tutti i caveat del caso in tema di Open Finance” aggiunge, “e ad esempio resta un mantra lo slogan ‘Same business, same rules’. Anche i nuovi operatori, nativi tecnologici, che intendono entrare del mercato devono garantire lo stesso livello di protezione del dato finora adottato; pur se condiviso. Vedo l’ingresso di nuove società più nell’ambito del B2B, piuttosto che nel rapporto col cliente finale”.
“Dopo tanti anni di discorsi sulla consulenza patrimoniale forse oggi stiamo per avere gli strumenti adatti” si unisce Matteo Benetti (a destra tra i tre relatori), direttore generale di Credem Euromobiliare Private Banking. “Non è passato troppo tempo da quando la consulenza patrimoniale si faceva con un file Excel. Il banker sta cambiando la sua professione e l’industria deve metterlo in condizione”.
L’indicazione è quella di aiutare il normatore a indicare i paletti più opportuni per l’evoluzione della professione, tutelando il cliente senza impedire l’operatività.
Resta da stabilire come raccontare al cliente questa trasformazione. “Fare formazione sui clienti è difficile. Sui clienti si fa tanta comunicazione, tanto coinvolgimento, ma la formazione propriamente detta è quella che si fa ai banker. Certamente le aziende devono informare bene i clienti, con ogni mezzo possibile” riprende la parola Taddei. “Nel caso di Ersel stiamo facendo due cose importanti: un massiccio passaggio generazionale di clienti e operatori, e aiuta visto che i più giovani hanno maggiore attitudine su questi temi, e l’affiancamento di professionisti di diverse seniority in dinamiche di team, con junior relativi, visto che parliamo di professionisti di 35-40 anni. In squadre multi-competenti”.
“Non dare informazioni sono quando c’è una novità ma adottare processi di co-sviluppo e co-gestione dei progetti con la rete è l’evoluzione necessaria” sottolinea Binelli. “Ogni volta che abbiamo elaborato delle innovazioni e solo dopo le abbiamo comunicate alla struttura di banker non ha funzionato bene. I responsabili della relazione devono essere a bordo fin dall’inizio. E l’Open Finance non è diversa”. Col vantaggio che il private banker opera in una relazione esclusiva.
“L’Open Banking da noi era stato gestito dalla divisione Digital ed era rimasto parzialmente inutilizzato” segnala. “Memori dell’errore fatto ho subito incluso nella divisione Wealth l’Open Finance, perché ci vedo opportunità commerciali. Il Digital mi aiuterà a implementarlo”.
“Bisogna sempre partire dalla vita tipica di un nostro cliente. Di un cittadino ricco, perché è di questi che ci occupiamo. Ed è abituato a un certo tipo di esperienza di acquisto o, per meglio dire, di esperienza in generale” è il nuovo esordio di Benetti. “Nell’ambito del lusso una volta il prodotto faceva la differenza; oggi è il percorso che fai nel momento dell’acquisto. Un collega mi raccontava di aver comprato una costosa borsetta alla moglie in una boutique del centro di Milano e la sua esperienza con chi lo aveva servito e seguito era stata talmente positiva da invogliarlo a comprare anche un portafoglio per sé il giorno dopo; è quindi tornato, ha comprato effettivamente il portafoglio ma si è anche detto che non sarebbe più riandato: ha trovato un commesso diverso, che si è lamentato perché il portafoglio non era stato prenotato. Questo esempio è anche illuminante su come si fa nuova clientela, la famosa referenza attiva. Nessuno dirà mai a un amico che un banker lo ha fatto guadagnare molto ma dirà che è trattato bene e riceve il servizio desiderato. La condivisione del dato, alla base dell’Open Banking, serve esattamente a questo: a migliorare l’esperienza del cliente”.
“Dobbiamo ribadire l’importanza di ottenere un consenso informato. Anzi, molto informato. Perché a volte è un po’ estorto. E un consenso non pienamente consapevole può essere un grosso problema poi da gestire” puntualizza Taddei, ribadendo anche l’utilità di una centrale unica di risk management, anziché lasciare una gestione un po’ troppo autogestita al banker. “A maggior ragione per avere una gestione coordinata di un cliente pluri-bancarizzato” è la chiosa di Benetti.
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