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Molto non è ancora abbastanza!

11/28/2024 | A cura di Marie LASSEGNORE, head of ESG and Credit Research, Crédit Mutuel Asset Management

L'esperta commenta gli esiti di COP29 e dell’accordo sui finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per la transizione climatica, pari a 300 miliardi di dollari annui, ritenuti dalle nazioni beneficiarie troppo ridotti.


Com’è possibile che 300 miliardi di dollari siano troppo pochi? Stando a un nuovo obiettivo finanziario, a COP29 i Paesi sviluppati si sono accordati per triplicare i finanziamenti a sostegno del clima per i Paesi in via di sviluppo. I Paesi più ricchi hanno promesso almeno 300 milioni di dollari all’anno entro il 2035.

In origine, le nazioni in via di sviluppo hanno chiesto ai Paesi sviluppati circa 1.000 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 (e 1.300 miliardi entro il 2035). Ora, questa cifra rappresenta un obiettivo onnicomprensivo, che chiama in causa la mobilitazione di tutti i settori, sia pubblici che privati. Perché è importante ricordare l’origine dell’impegno? Secondo l’ultimo studio del gruppo indipendente di esperti di alto profilo sulla finanza climatica (IHLEG), l’azione a favore del clima richiede 6.500 miliardi di dollari all’anno in investimenti entro il 2030 e 7.600 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Di questi, circa 2.400 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 (1.400 miliardi di dollari da risorse interne e 1.000 miliardi di dollari da finanziamenti esteri) sarebbero destinati ai mercati emergenti e a quelli in via di sviluppo (ad eccezione della Cina).

Sebbene si prevede che gli investimenti provengano da diverse fonti di finanziamento, il costo del capitale è un elemento chiave per i beneficiari, specie per quei Paesi che sono più vulnerabili. Massimizzare la quota di impegno pubblico da fonti di finanziamento esterne, ridurrà al minimo l’onere aggiuntivo del debito legato al clima per i beneficiari.

“Qualsiasi deficit negli investimenti prima del 2030 aggiungerà pressione sugli anni a seguire, rendendo il percorso più ripido e potenzialmente più costoso per la stabilità climatica”. I risultati del report del gruppo IHLEG suggeriscono che le opportunità legate agli investimenti (costi evitati e co-benefici dell’azione climatica) potrebbero ammontare al 15-18% del Pil mondiale nel 2030. Per mettere le cose in prospettiva, l’azione climatica richiede 6.500 miliardi di dollari di investimenti all’anno che equivalgono al 6% del Pil mondiale del 2023.

Ecco perché la quota attuale promessa alla finanza climatica è di scarso valore, a meno che non ci sia un maggior impegno alla riduzione dei combustibili fossili (come introdotto lo scorso anno ma con delusione non rinforzato quest’anno al di fuori della Powering Past Coal Alliance) o migliorare le ambizioni degli NDC dei Paesi (facendo leva sui passi avanti fatti sull’Articolo 6). Il report 2024 sul divario delle emissioni stima che continuare con gli attuali sforzi di mitigazione ci condurrà a un riscaldamento globale di 3,1°C. Tuttavia, se le promesse incondizionate e condizionate fossero mantenute nella loro interezza, il rialzo della temperatura globale potrebbe essere contenuto a circa 2,6°C.

Durante la COP, John Kerry ha fatto una dichiarazione sollevando dubbi sul fatto che sia addirittura possibile “riconquistare” l’obiettivo di 1,5°C. Riconquistare implicherebbe una riduzione delle emissioni del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035. Le chance sono davvero a nostro sfavore ma un forte aumento degli investimenti in mitigazione e adattamento da parte del settore privato potrebbe mantenere vive le speranze.

A giugno 2024 gli asset in gestione in tutto il mondo hanno raggiunto i 132.000 miliardi di dollari (di cui gli asset detenuti privatamente ammontano a circa il 10%), che significa che basterebbe che tra l’1 e il 6% degli asset in gestione nel mondo fossero indirizzati verso l’azione a sostegno del clima per raggiungere gli obiettivi annuali di investimento sottolineati dal gruppo IHLEG. Il capitale privato, le infrastrutture e il debito protetto sono asset class in cui si può massimizzare l’addizionalità così come i co-benefici sociali e ambientali.

In Francia, l’attuazione della “loi industrie verte” a ottobre 2024 è un buon esempio di come si possa raccogliere capitale privato per finanziare la transizione climatica. Gli investimenti legati alla transizione energetica e il private equity sono finanziati attraverso l’allocazione sistematica di una quota di polizze vita o piani pensionistici. A gennaio 2025 verranno anche lanciate in Francia le “obbligazioni di transizione”. Piccole e medie imprese avranno accesso a una nuova soluzione di finanziamento per la loro trasformazione o lo sviluppo di soluzioni per la transizione energetica. Se da un lato questi quadri di riferimento massimizzano i risultati interni alla nazione, dall’altro sono in essere programmi di investimento simili per finanziare progetti ad alto impatto nei Paesi in via di sviluppo.

Laddove e nel momento in cui i finanziamenti pubblici non riescono a coprire l’intera necessità, le fonti di finanziamento private dovrebbero chiudere il divario. Sebbene la portata e il tasso di riuscita dei finanziamenti a favore del clima siano decisivi nel raggiungere gli obiettivi climatici, la complessità principale è dirigere i flussi per massimizzare la loro addizionalità.

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