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Gli under-54 preferiscono il fai-da-te al consulente finanziario

12/14/2024 | Francesco D'Arco

Andamento lento per il risparmio degli italiani che dicono no ai fondi comuni e non si fidano ancora dei cf.


Qual è il reale stato di salute dell’industria del risparmio gestito italiano? Qual è il rapporto che le famiglie hanno con il risparmio e con il mondo bancario? E i consulenti finanziari che ruolo svolgono nella gestione del risparmio degli italiani? Le risposte a queste e a molte altre domande sono contenute nell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2024 presentata da Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi.

La ricerca quest’anno si arricchisce di un focus proprio sul risparmio gestito e permette di avere una fotografia dettagliata del rapporto tra gli italiani, il risparmio, gli investimenti e i consulenti finanziari. Nelle 184 pagine dell’indagine vengono analizzate numerose sfumature sulle scelte finanziarie degli italiani, qui mi limito a segnalare tre elementi che penso siano un utile spunto per l’industria della consulenza finanziaria e del private banking che si appresta ad affrontare le sfide del 2025.

Il primo riguarda l’evoluzione del risparmio complessivo dal 2005 al 2022: mentre a livello globale il risparmio delle famiglie è passato da 11.241,3 miliardi di dollari a quota 27.038,1 miliardi di dollari, registrando un rialzo di oltre 140 punti percentuali, in Italia la crescita nello stesso periodo di tempo è stata di soli 17,7 punti percentuali. Secondo l’indagine del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo il risparmio complessivo del Bel Paese è passato dai 376,8 miliardi di dollari del 2005 ai 443,5 miliardi di dollari del 2022.

Un andamento decisamente più lento che è in parte determinato dalle scelte di portafoglio degli italiani. E qui emerge il secondo elemento che sicuramente deve essere analizzato con cura dall’industria: la quota assegnata alla moneta e ai depositi, la classe di attività finanziaria dominante in alcuni paesi, come il Giappone, la Germania, l’Italia, la Francia e la Spagna. Dati alla mano, negli ultimi vent’anni, la quota di risparmio parcheggiata in liquidità in Italia è cresciuta dal 22,6% al 31,4%, mentre la quota di denaro investita in strumenti di risparmio gestito (fondi comuni, assicurazioni vita e rendite, fondi pensione) è passata dal 27,4% al 37,1%. Ma negli ultimi due anni il trend si è invertito per i fondi comuni. “Il 2023, nonostante abbia visto una ripresa sia dei mercati obbligazionari sia di quelli azionari, ha continuato a registrare un deflusso di fondi dal risparmio gestito italiano, con una perdita di 50 miliardi di euro nel corso dell'anno” si legge nel Rapporto firmato dal Centro Einaudi e da Intesa Sanpaolo. “La concorrenza delle obbligazioni, più semplici da comprendere e con costi di gestione inferiori, ha continuato a sottrarre risorse al risparmio gestito”. E il 2024 ha visto il settore del risparmio gestito continuare “a soffrire, con una raccolta netta annualizzata ancora negativa di –13 miliardi di euro a metà anno”. Per questo i ricercatori ritengono che il risparmio gestito in Italia mantenga un grande potenziale strutturale, in particolare “la crescita futura del settore potrebbe essere sostenuta dalla capacità di soddisfare i bisogni di previdenza complementare e di assorbire parte dei soldi liquidi in eccesso rispetto alle normali necessità” si legge nel rapporto. “Tuttavia, questa crescita richiede una maggiore comprensione delle esigenze dei risparmiatori, che sono sempre più attenti, ad esempio, ai valori ESG (Environmental, Social, and Governance) incorporati nei loro investimenti”.

E in tutto questo scenario che ruolo giocano e/o possono giocare i consulenti finanziari? La risposta nel terzo elemento che, a mio avviso, vale la pena considerare all’interno dell’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2024: il rapporto delle famiglie con le banche e i consulenti finanziari. Dati alla mano l’industria della consulenza finanziaria e del private banking è un’industria “vecchia”, perché strettamente legata soprattutto al target di clientela con oltre 55 anni, mentre fa ancora fatica a raggiungere gli italiani tra i 25 e i 54 anni. In particolare preferiscono affidarsi al “fai-da-te” quasi 1 italiano su 3 di età compresa tra i 25 e i 44 anni, mentre si affidano ad un consulente finanziario meno del 15% di questi soggetti. La percentuale sale al 18% per i clienti compresi tra i 45 e i 54 anni. La fotografie diventa più positiva quando si guarda ai dati relativi ai soggetti compresi tra i 55 e i 64 anni: in questo caso la percentuale di italiani che si affidano a un consulente o private banker sale al 24,5%. Da segnalare che per tutte le fasce di età la percentuale di italiani che chiede comunque parere a un referente della banca è intorno al 60% (non è escluso che tra questi soggetti vi siano anche consulenti e private banker con contratto di dipendente, ndr).

Cosa raccontano questi tre elementi? Che sarà fondamentale nel 2025 lavorare per aumentare la consapevolezza dei bisogni di investimento degli individui se si vorrà ridurre la quota di “fai-da-te”. E migliorare la comprensione delle esigenze dei risparmiatori al di sotto dei 55 anni che, evidentemente, non riconoscono ancora nel consulente finanziario una figura capace di supportarli nei progetti di vita.

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