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1/23/2023 | Antonio Bottillo *
Dopo la pubblicazione del report KPMG (qui) si è acceso il dibattito sulla validità o meno della proposta anti-incentivi. Pubblichiamo il parere di Antonio Bottillo, un professionista con oltre 41 di esperienza nel settore dell'asset & wealth management.
IL PARERE DI ANTONIO BOTTILLO *:
La discussione sul modello commissionale, fee-only o incentive, si rafforza negli ultimi tempi grazie ad almeno due temi principali di più ampia portata che maturano. Il primo vede rimarcata l’importanza degli investitori retail richiamata al punto 8 dell’Action Plan della CMU (Capital Market Union) che ha come obiettivo quello di creare un contesto più favorevole per far si che gli investitori retail abbiano una partecipazione maggiore al Mercato dei Capitali, nella convinzione che il grande risparmio a livello europeo possa contribuire con le proprie ampie risorse allo sviluppo sostenibile.
La CMU in questo suo obiettivo, tra le altre cose, ha predisposto pubbliche consultazioni sulla opportunità di procedere o meno alla eliminazione degli inducements, tema sul quale organismi come ESMA, EFAMA e EIOPA hanno provveduto a fornire interessanti spunti di riflessione.
Ne è risultato che, in generale, l’attuale impalcatura regolamentare MIFID II sembra in grado di proteggere abbastanza l’investitore retail, tuttavia non gli concede sufficiente potere: l’investimento nei mercati dei capitali, che necessariamente prevede un orizzonte temporale adeguato, viene ancora percepito come un onere piuttosto che come un’opportunità.
Diventa necessario rendere più agevole l’ingresso ai mercati dei capitali agli investitori retail e, in questo contesto, la regolamentazione può fare tanto. Si pensi, per esempio, ad un sistema in cui i documenti messi a disposizione dei clienti, tipo PRIIP KID, siano maggiormente comprensibili, che prevedano maggiore aderenza agli investimenti effettuati e che, quindi, prevedano disclosure differenti a seconda dei prodotti e meno generalizzazioni, che siano in altri termini più effettivi ed efficaci.
Il tema dell’“advice” risulta particolarmente rilevante per la protezione dell’investitore retail e connesso al tema degli inducements. L’ESMA ha incoraggiato la Commissione a condurre ulteriori analisi sul tema e propone, ad esempio, miglioramenti nella rappresentazione degli incentivi per incoraggiarne una maggior comprensione tra i risparmiatori. Si pensi ad una full disclosure degli incentivi percepiti come parte dell’analisi dei costi ex-ante ed ex-post, come anche all’estrazione delle commissioni dal costo dei prodotti e presentarli come costi del servizio di distribuzione, e via dicendo.
I Paesi Bassi e il Regno Unito hanno già bandito gli incentivi con un certo successo e alcune organizzazioni hanno riconosciuto che il divieto degli incentivi in principio favorirebbe la distribuzione di prodotti d’investimento più convenienti agli investitori, ridurrebbe il conflitto d’interesse per gli advisor e favorirebbe la competizione tra i produttori a vantaggio degli investitori, anche se bisogna dire che tale sistema non ha al momento garantito il servizio alla totalità degli investitori retail.
Comunque, se dovesse essere introdotto un divieto di incentivazione a livello di Unione Europea, l’impatto varierebbe a seconda degli Stati membri, in base al prevalere dei modelli di distribuzione esistenti nei vari paesi. In un sistema banco-centrico, come quello italiano, si correrebbe il rischio che, a causa del venir meno delle incentivazioni, venga meno anche la vendita di prodotti terzi e le banche potrebbero reagire incrementando il ritorno ad un’architettura chiusa, fenomeno che sembra, per certi aspetti e ad opera di alcuni, potenzialmente già iniziata.
Il secondo tema è quello collegato alle proiezioni di revenues nel settore Wealth Management e del contributo ad esse per opera dell’ampliamento della partecipazione degli investitori al mercato dei capitali. Un recente studio operato dall’autorevole casa Oliver Wyman vedrebbe come proiezione un pool di revenues, nel corso dei prossimi anni, nell’ordine di 230 miliardi di dollari originato dal segmento “lower HNWI” e “upper affluent” (quel segmento composto da risparmiatori con patrimonio compreso tra 300.000 dollari e inferiore 5 milioni di dollari). Si tratterebbe di un contributo importante delle revenues originate dall’attività di Wealth Management globale, prossimo al 60% del totale, a tendere. Ad oggi la penetrazione sarebbe pari solo al 15/20% e l’industria è già al lavoro per accaparrarsi nuove fette di clientela.
La questione, quindi, appare delicata e molto più ampia, non può essere licenziata attraverso semplici e riduttivi slogan sull’entità dei costi dei due regimi che restano comunque ancora da certificarsi. Si tratta qui, piuttosto, di normare bene l’ampliamento dei partecipanti al mercato dei capitali, gli investitori retail, proteggendoli, tutelando l’attività d’investimento, garantendo ampia diversificazione e qualità della gestione e qui le Autorità sono in allerta e al lavoro.
* professionista con oltre 41 anni di esperienza nel settore dell’Asset & Wealth Management
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