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4/26/2017 | Stefano Massarotto – Facchini Rossi & Soci
Le polizze assicurative a contenuto finanziario - c.d. unit-linked e index-linked - sono sempre più diffuse nel mercato italiano: associano alla pianificazione patrimoniale una finalità di investimento finanziario ed una legittima ottimizzazione fiscale.
Ultimamente, tuttavia, le linked sono oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in taluni casi, ha negato alle stesse il regime fiscale proprio dei contratti assicurativi sulla vita. Le contestazioni, salvo casi patologici, potrebbero essere connotate da una estrema (e forse non giustificata) rigidità: il risultato è un clima di incertezza, dove le principali “vittime” potrebbero essere i risparmiatori.
Ma vediamo brevemente perché. Come è noto, in ragione della natura tipicamente previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita (e dunque del suo rilevante valore sociale), il legislatore ha originariamente previsto un regime fiscale di vantaggio, sia ai fini delle imposte dirette sia di quelle indirette. Questo regime, peraltro, negli ultimi anni ha subìto un notevole inasprimento, con la conseguenza che oggi il trattamento tributario è di fatto sostanzialmente allineato a quello degli altri redditi da attività finanziarie. Infatti, la tassazione dei proventi dei contratti assicurativi a contenuto finanziario è recentemente passata – come del resto quasi tutti i proventi finanziari – dal 12,5 al 26%; inoltre, con la Legge di Stabilità 2015 è stata introdotta la tassazione dei rendimenti finanziari percepiti dai beneficiari, in caso di morte dell’assicurato, prendendosi così atto che alcuni contratti assicurativi sono caratterizzati, oltre che da una componente demografica, anche da una finanziaria.
Ora, è vero che l’investimento in una polizza linked prevede un regime fiscale differente rispetto all’ipotesi dell’investimento diretto in strumenti finanziari: si pensi, ad esempio, alla compensazione dei redditi di capitale con le minusvalenze da cessione, al tax deferral al momento del riscatto della polizza e alla tassazione con l’aliquota del 26% anche di redditi altrimenti soggetti all’aliquota marginale IRPEF; si pensi altresì all’esclusione dalla formazione dell’attivo ereditario delle somme corrisposte agli eredi “in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie o stipulate dal defunto”, trattandosi di indennità spettanti a detti soggetti per diritto proprio e non per diritto successorio. A ben vedere, peraltro, questo regime fiscale è del tutto sistematico e simile a quello di altri tipici strumenti finanziari, quali, ad esempio, gli O.I.C.R. e i contratti di capitalizzazione, i quali hanno quale minimo comune denominatore il fatto di essere caratterizzati da una gestione del risparmio in autonomia rispetto al singolo investitore.
La scelta di investire in una polizza assicurativa sulla vita di tipo linked non dovrebbe, pertanto, configurare alcun risparmio fiscale indebito, in tutti i casi in cui, sebbene la componente finanziaria – sicuramente predominante – si estrinsechi in una attività di gestione delle risorse nell’interesse del soggetto investitore, il servizio di gestione degli assets in polizza si caratterizzi per la “discrezionalità” del gestore e la sua “autonomia” rispetto al singolo investitore.
Alle polizze di assicurazione vita di tipo linked, riconosciute come tali dalle disposizioni primarie e regolamentari di settore, dovrebbe, dunque, in linea di principio, essere riconosciuto il regime fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita: l’azione di contrasto, dovrebbe quindi essere mirata, a nostro avviso, solo nei confronti di situazioni effettivamente patologiche (in cui il contratto assicurativo si presta alla realizzazione di finalità improprie, ponendosi quale mero diaframma con il patrimonio personale del contribuente), senza andare oltre.
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