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Fedeli all’iniziale intuizione

8/7/2024 | Marco Tofanelli*

“Le reti del futuro dovranno… offrire un mix adeguato di prodotti e di assistenza-consulenza al risparmiatore”. Affermava il primo presidente di Assoreti, Luigi Guatri, nel 1987


Negli ultimi venti anni l’industria della consulenza finanziaria ha cercato, trovato e consolidato un modus fondamentale: la centralità del rapporto di servizio al cliente, offrendogli oggi prestazioni professionali supportate da processi avanzati di digitalizzazione, garantendogli competenze sociologiche e psicologiche che si traducono nel supporto continuo fornito nelle fasi di valutazione e rivalutazione delle proposte per perseguire la migliore strategia pianificata di investimento, sulla base dell’esperienza e conoscenza aggiornata nel tempo, dell’empatia, dell’etica, in altri termini della capacità di connessione intuitiva. Insomma, dico il vero se individuo questo sistema come capace di rispondere a tutto il coacervo di competenze richieste, sintetizzando appieno la difficile ibridazione del sapere digitale con quello umanistico.

V’è da dire che questa industria è rimasta costantemente fedele all’iniziale intuizione, al modello intorno al quale ha saputo costruire un’identità forte, con alcuni tratti identificati con lungimiranza sin dal primo presidente di Assoreti, Luigi Guatri, quando già nel 1987 affermava che: “le reti del futuro dovranno … offrire un mix adeguato di prodotti e di assistenza-consulenza al risparmiatore. In questo senso la preparazione professionale e la serietà di comportamento dei venditori-consulenti appaiono la chiave del vero successo”. Questi tratti - vocazione consulenziale, preparazione professionale e correttezza dei comportamenti - ruotano attorno a un importante valore che ha permesso di conquistare nel tempo il cliente italiano: la fiducia. È forse la più grande conquista.

Perché la fiducia gioca un ruolo centrale nel mantenere l’equilibrio fra conoscenza e ignoranza, permettendoci di agire anche laddove non conosciamo pienamente le situazioni in cui ci troviamo; Niklas Luhmann, eminente sociologo, rappresenta come la fiducia sistemica si basi sulla certezza che il sistema funzioni, certezza che si consegue solo dopo ripetute esperienze positive di interazione con esso. E negli anni le reti hanno vinto questa importante prova.

Il rapporto fiduciario tra consulente finanziario e cliente ha consentito di superare, prima, la crisi finanziaria dei mutui subprime (2007-2009), subito dopo quella del debito sovrano (2010-2011) per poi passare attraverso la fase pandemica da Covid-19 ed infine attraverso il più recente periodo di grande incertezza globale avviata con la crisi russo-ucraina dalla quale sono scaturite, in una sorta di reazione a catena, la crisi energetica, l’accelerazione delle tensioni inflazionistiche e l’adozione da parte delle banche centrali mondiali di politiche monetarie restrittive.

Certo, le dinamiche innescate dalle crisi finanziarie vissute in questi ultimi vent’anni hanno inciso sulla composizione del mercato delle reti di consulenza: se da un lato hanno determinato l’abbandono dell’attività da parte di intermediari non in grado di rispondere con adeguata efficienza ai nuovi scenari, dall’altro ha comportato da parte di chi è stato capace di attivare processi riorganizzativi all’interno di grandi gruppi con l’obiettivo di ottimizzare l’operatività in un mercato sempre più concentrato e concorrenziale, portando alla ricomposizione dei network tramite uno screening rigoroso del proprio capitale umano, in risposta a criteri di professionalità, produttività e formazione richiesti sempre più selettivi. 
E, come sempre, i numeri non lasciano dubbi. Basti pensare che dal 2003 ad oggi, attraverso un trend costantemente positivo, le reti evidenziano una raccolta netta complessiva di 512 miliardi di euro, di cui più della metà nei soli ultimi sette anni.

La ripetuta interazione positiva ha portato quasi 5 milioni di risparmiatori a rivolgersi alle reti di consulenza per la pianificazione dei propri investimenti affidando disponibilità per 750 miliardi di euro, valore quasi quintuplicato rispetto ad inizio 2003 e che oggi rappresenta il 21% delle attività finanziarie delle famiglie italiane, composte da depositi, strumenti finanziari amministrati e prodotti del risparmio gestito. In particolare, proprio nell’ambito del risparmio gestito si è assistito al graduale e costante consolidamento del ruolo delle reti, con una quota di mercato complessiva in aumento dall’11% di venti anni or sono all’attuale 25%. E se guardiamo ad alcuni indicatori di efficienza del consulente, il numero di clienti è passato da 124 a 213 e il portafoglio medio da 4,5 a 32,9 milioni di euro.

La grande sfida vinta è stata proprio questa: mantenere una forte identità adeguandola alla complessità dell’evoluzione dei sistemi interferenti esogeni, a volte anche anticipandoli. La figura del consulente è evoluta, da strettamente finanziaria a “globalmente patrimoniale”, con un riposizionamento complessivo dell’industria verso molti servizi ad alto valore aggiunto.

Sono state implementate con cura aree di business creando contenuti hyper-personalized per ciascun cliente in base al profilo e al comportamento tenuto nel tempo e l’analisi dialettica si è spostata sulla gestione di una relazione complessa che il cliente instaura con l’intermediario, con il consulente e con le piattaforme tecnologiche, con sottostanti algoritmi sempre più efficaci in termini di apprendimento ed elaborazione delle informazioni immesse e conseguente precisione nelle risposte alle esigenze del cliente stesso. Ciò, attraverso la proposta di più modelli di servizio al cliente diversi tra loro, anima di una vera concorrenza a beneficio del cliente.

Uno scenario che trova nell’intermediario e nel consulente gli interlocutori capaci di instaurare con il cliente il binomio vincente: da un lato, l’intermediario che è in grado di sopportare i costi delle piattaforme tecnologiche per migliorare l’operatività con il cliente; e dall’altro, il consulente che ha il compito di curare le strategie di investimento maggiormente aderenti ai bisogni dello stesso, utilizzando il supporto offerto dall’algoritmo, approcciando il cliente con le tecniche di finanza comportamentale.

E forse è proprio a questi ultimi aspetti che dobbiamo guardare pensando ad un futuro che veda le reti ancora vincenti: intermediari evoluti, capaci di superare la classica distinzione tra produzione e distribuzione, che supportano una popolazione di nuovi wealth manager, empaticamente tecnologici, proiettati a realizzare efficacemente i progetti di vita degli investitori.

*segretario generale Assoreti
(contributo tratto dal numero 1 anno 2024 di ADVISOR) 

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