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9/28/2024 | Francesco D'Arco
Poco più di 15 anni fa si sviluppò a livello globale la convinzione che i robo-advisor, ovvero la consulenza finanziaria offerta a tutti a distanza grazie ad un computer, un buon software e un’adeguata connessione internet, avrebbero rivoluzionato l’industria.
La democratizzazione dell’accesso agli investimenti grazie a piattaforme digitali a basso costo stava partendo e avrebbe definitivamente reso vano il ruolo del consulente finanziaria. Ma, a distanza di anni dal loro debutto, possiamo davvero dire che i robo-advisor abbiano cambiato radicalmente il mondo degli investimenti?
La domanda se l’è posta recentemente Cosima F. Barone, financial analyst, wealth manager and Board Member del FECIF e Director dall’associazione svizzera Association of Independent Financial Advisors (GSCGI), che ha riportato in un suo articolo pubblicato sul sito FECIF i dati di un recente studio firmato Condor Capital Wealth Management.
Secondo questo studio il settore dei robo-advisor ha raggiunto 1 trilione di dollari in gestione, una cifra importante ma che viene ridimensionata se confrontata con i 50 trilioni di dollari gestiti complessivamente dal settore della consulenza finanziaria. Appare evidente, secondo Cosima F. Barone che la rivoluzione promessa sia rimasta circoscritta. “Sebbene l'introduzione di piattaforme come Betterment e WealthFront abbia destato grande interesse nei giorni successivi alla crisi finanziaria del 2008, l’adozione di massa che ci si aspettava non si è materializzata” scrive l’esperta che individua diversi fattori nella mancata rivoluzione dei robo-advisor.
Tra questi fattori ce ne sono due che possono essere condivisi e ben sintetizzano la cronaca finanziaria di questi ultimi quindici anni. Il primo è un fattore “comportamentale”: le promesse iniziali dei robo-advisor si sono scontrate con la realtà delle esigenze degli investitori, i quali, nonostante la crescente familiarità con la tecnologia, continuano a desiderare il contatto umano quando si tratta di decisioni finanziarie importanti.
La seconda è più legata al “modello di business”. I primi robo-advisor sono nati con il sogno di creare realtà indipendenti e capaci di offrire servizi puramente digitali senza essere travolti dalle tradizionali dinamiche del mondo della consulenza finanziaria. Quindi niente partnership con nessuno, solo un servizio fornito al cliente finale.
Ma l’aspetto comportamentale citato prima ha spinto gli investitori a cercare altrove quello che non riusciva a fornire il robo-advisor di turno e così il boom di clienti ad un certo punto si è stabilizzato.
Questo non significa che i robo-advisor non siano più una realtà, ma significa che, come ricorda la stessa Barone, sono un’evoluzione dell’industria che vede grandi aziende, come ad esempio Fidelity e Charles Schwab, trasformare le loro offerte “robo” in servizi ibridi, che combinano la consulenza digitale con quella umana.
La storia di questi 15 anni spinge quindi a guardare al crescente ruolo della Gen-AI non come all’ennesima minaccia che rivoluzionerà il settore, ma piuttosto all’ennesima trasformazione che costringerà i consulenti finanziari a cambiare il modo in cui gestiscono la relazione con il cliente finale perché fino a quando non arriverà lo strumento in grado di conquistare la fiducia degli investitori sarà difficile perdere il proprio ruolo nella gestione dei patrimoni della famiglie.
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