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1/30/2024 | Daniele Barzaghi
Il 6,7% delle aziende familiari italiane ha avuto un avvicendamento al vertice negli ultimi tre anni mentre nel decennio 2013-2022, nonostante il maggiore intervallo temporale, il dato si era fermato al solo 4,7%; a dimostrazione dell’accelerazione determinata dalla crisi pandemica.
Il dato emerge dal XV rapporto dell’Osservatorio AUB, curato da Fabio Quarato e Carlo Salvato, con la supervisione scientifica di Guido Corbetta, e redatto a partire dall’analisi delle 11.635 imprese italiane familiari con un fatturato di almeno 20 milioni. L’Osservatorio è promosso dalla Cattedra AIDAF–EY di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, da AIDAF, da UniCredit e dalla Fondazione Angelini, con la collaborazione di Borsa Italiana e della Camera di Commercio di Milano Monza-Brianza Lodi.
La ripresa delle aziende familiari italiane dopo la pandemia si sta confermando più sostenuta di quella che era seguita alla crisi finanziaria del 2008-2009. Le imprese familiari italiane hanno compiuto in due anni un rimbalzo considerevole, crescendo nettamente in fatturato e in redditività. Il fatturato di queste aziende, in particolare, è cresciuto nel 2022 di oltre il 14% rispetto all’anno precedente in cui già era avvenuto un rimbalzo notevolissimo, mentre il Roe (Return On Equity) medio ha più che ricuperato i livelli del 2019 attestandosi al 13,4%. Significativamente, questa ripresa ha anche portato a un aumento delle persone occupate, cresciute del 7,3% rispetto a prima della pandemia (del 4,5% nelle imprese non familiari).
Anche la solidità patrimoniale delle aziende familiari continua a migliorare: il rapporto di indebitamento (attivo totale/patrimonio netto) si è ulteriormente ridotto a 3,9. Solo 10 anni fa, il valore corrispondente era 6. Allo stesso modo, anche le aziende con una situazione patrimoniale più debole sono diminuite: le imprese familiari con parametri “critici” o “di allerta” secondo la definizione contenuta nel rapporto sono il 19,7%, con un calo di ben 15 punti rispetto al 2011.
Nei ricambi al vertice avvenuti nell’ultimo decennio il leader entrante (familiare o non familiare) è più giovane del leader uscente, in media, di oltre 7 anni. Ma ciò non è di per sé sufficiente a capire se l’avvicendamento sia un problema o una occasione di crescita. I dati dell’Osservatorio però mostrano che le successioni al vertice avvenute nel periodo 2008-2019 hanno avuto un impatto positivo sui tassi di crescita delle aziende familiari: +3 punti di crescita nei tre anni post-successione rispetto ai tre anni precedenti. L’effetto positivo del ricambio al vertice però è maggiore quando il leader uscente è un ultra-settantenne e il successore ha meno di 50 anni, il CdA pre-successione era già aperto verso i non familiari, il leader entrante è una donna e se il passaggio è avvenuto tra familiari.
“Almeno osservando le aziende familiari quotate per cui è disponibile un rating ESG, abbiamo visto che un nuovo Ceo significa in media 4 punti in più di rating nel triennio a seguire, che salgono a 8 se si tratta di un Ceo donna” ha sottolineato il professor Guido Corbetta. “Questa attenzione alla sostenibilità e alla diversity è un elemento di grande interesse che continueremo a monitorare. Comunque la si veda, possiamo senz’altro concludere che stiamo entrando in un’epoca in cui la successione al vertice di una impresa familiare non è più una minaccia ma una opportunità”.
“Quanto emerge dallo studio è in linea con la nostra esperienza quotidiana di vicinanza alle aziende familiari italiane che si confermano un esempio virtuoso del modo di fare impresa, capace di fare la differenza nel processo di sviluppo dell'economia del Paese” ha confermato Massimiliano Mastalia, Head of Wealth & Large Corporates UniCredit.
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