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8/8/2024 | Emanuele Grippo e Federico Cappellini, avvocati dello studio legale Gianni & Origoni
Recenti pronunce giurisprudenziali e una pubblica consultazione avviata recentemente da IVASS sulla definizione e gestione dei prodotti unit linked sono destinate a produrre un notevole impatto sul mercato.
Un primo aspetto di particolare rilievo attiene al perimetro applicativo dello schema di regolamento, che, a differenza della regolamentazione vigente, verrebbe esteso anche alle compagnie comunitarie operanti in Italia tramite succursale o cross border.
Una simile scelta, giustificata dall’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni in un’ottica di level playing field tra imprese italiane ed europee, è peraltro potenzialmente idonea a ridurre il ventaglio delle tipologie di prodotti unit sul mercato italiano.
Infatti, la clientela del mercato private sovente ricorre a prodotti assicurativi con sottostanti illiquidi emessi da imprese di assicurazioni ubicate in certe giurisdizioni europee, in quanto in tali Paesi la legislazione applicabile consente una maggiore flessibilità nella selezione dei sottostanti delle polizze unit.
Pertanto, l’assoggettamento delle imprese comunitarie alla regolamentazione italiana imporrebbe a queste ultime una ridefinizione dei prodotti offerti in Italia, per allinearli al futuro quadro regolamentare, anche con riferimento agli attivi “eligible” e ai limiti di concentrazione nei fondi interni assicurativi.
E proprio su tale ultimo elemento la proposta di IVASS è destinata ad incidere in modo significativo.
In tal senso, lo schema di regolamento definisce due distinte categorie di clienti, cui si riconnettono differenti tipologie di prodotti unit (e quindi di fondi interni) commercializzabili.
Verrebbe infatti definita una categoria di clienti “professionali” cui possono essere commercializzati prodotti con fondi interni investiti (in misura rilevante) in strumenti alternativi e/o illiquidi, quali FIA chiusi e aperti.
Tali clienti, in particolare, devono investire un premio unico non frazionabile e non inferiore a 500.000 euro e avere un orizzonte temporale di investimento coerente con il grado di illiquidità del fondo interno connesso alla polizza unit ed elevate conoscenze ed esperienze, tenendo anche conto di operazioni effettuate negli ultimi 5 anni.
Al netto di possibili distonie che verrebbero in ipotesi a crearsi con il mercato della gestione collettiva (che prevede limiti inferiori per la commercializzazione di fondi alternativi a clienti non professionali), va comunque osservato come la definizione di una categoria di clienti “professionali” nel settore assicurativo risponde a un primo (e, per certi versi, meritorio) tentativo dell’Autorità di Vigilanza di segmentare le tipologie di clienti sulla base delle caratteristiche e delle esigenze dei medesimi, “superando” l’attuale impostazione (normativa e regolamentare) propria del settore assicurativo, che qualifica i clienti come retail senza operare distinzioni di sorta.
Da ultimo, meritano una specifica attenzione i profili attinenti al rischio demografico assunto tramite i prodotti unit, sulla base di alcune recenti pronunce della Cassazione e di talune previsioni di cui allo schema di regolamento citato.
La Suprema Corte, infatti, ha avuto modo di ribadire (da ultimo, Cass. Civ. 9/04/2024, 9418) che unicamente le polizze unit “guaranteed” o “partial guarantee” (con ciò intendendo le polizze in cui l’assicuratore assume - con differenti gradualità - un rischio demografico) potrebbero essere effettivamente qualificate come assicurazioni sulla vita; diversamente, rientrerebbero nel novero dei prodotti finanziari quelle polizze che non prevedono (in concreto) l’assunzione di un rischio demografico da parte delle imprese.
Su tale solco di tali argomentazioni si pone altresì lo schema di regolamento, il quale disporrebbe che le polizze unit (e index) linked debbano prevedere un impegno a liquidare prestazioni assicurative coerenti con il rischio demografico assunto e sulla base dei bisogni assicurativi del contraente.
In aggiunta, alle imprese italiane e alle rappresentanze italiane di imprese non UE verrebbe imposto di definire contrattualmente una prestazione assicurativa dipendente dal rischio demografico non inferiore “a una percentuale congrua del premio investito”.
In definitiva, risulta lecito attendersi che le imprese assicurative possano rivedere nei prossimi anni la propria offerta di prodotti unit, definendo contratti con una maggior componente di attivi illiquidi per la clientela di fascia private e coperture assicurative più significative.
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