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Private market, la ricetta per approcciarli nel modo giusto

7/4/2024 | Daniele Riosa

Alberto Lionello Martini, head of wealth management di Banca Mediolanum: “Sono da prendere assolutamente in considerazione come investimento a sé stante e di lungo termine”


I private markets sono un investimento da tenere sempre in grande considerazione. Lo ribadisce con un post su LinkedIn, Alberto Lionello Martini (in foto), head of wealth management di Banca Mediolanum.

“I private markets - scrive Martini - sono ancora oggi poco presenti nei portafogli della clientela, ma sono sempre più popolari per effetto di una democratizzazione spesso sostenuta da affermazioni che non sono del tutto corrette. In primo luogo il flusso di capitali verso il private equity e la relativa performance sono altamente ciclici e sono influenzati dalle tendenze macroeconomiche e dalla politica monetaria. In particolare, uno scenario di tassi “higher for longer” come quello attuale è il più dannoso per la raccolta del private equity sia per l’elevato costo della leva finanziaria sia per la concorrenza a più basso rischio (e minore costo) del mercato obbligazionario. Si è poi diffusa la convinzione che i fondi di private equity migliorino la  diversificazione di un portafoglio tradizionale e il relativo Sharpe-ratio, ma questa affermazione avrebbe senso soltanto se le due forme di investimento fossero confrontabili. Il ritorno dell’investimento in azioni e obbligazioni è calcolato in base ai rendimenti ponderati nel tempo (TWRR) delle transazioni effettive giornaliere, mentre i rendimenti dei fondi di private equity sono solitamente espressi dal tasso interno di rendimento (IRR) dei flussi di cassa del fondo o con il TWRR basato però su valutazioni peritali”. 

“Queste valutazioni – constata il manager - sono però spesso superate, poiché i periti ritardano costantemente la valutazione delle società in portafoglio, specialmente durante le fasi “orso” dei mercati. Le valutazioni infrequenti delle azioni delle società private sottostimano quindi drasticamente la volatilità effettiva del private equity. Un’altra affermazione ricorrente è poi quella secondo la quale investire in fondi di private equity permette di migliorare il proprio grado di diversificazione, ma anche in questo caso l’assunto non convince. Blackstone, uno dei maggiori gestori di private equity al mondo, attualmente detiene 123 società in portafoglio, valutate 140 miliardi di dollari; se confrontiamo però questo portafoglio con quello del mercato mondiale, che include oltre 10.000 azioni e vale 65 trilioni di dollari, ci possiamo facilmente rendere conto che i benefici di diversificazione dei fondi di private equity sono irrilevanti e che la loro bassa correlazione con azioni e obbligazioni è illusoria. Utilizzare quindi i fondamenti della teoria di Markowitz per cercare di trovare nel portafoglio uno spazio per i private markets può avere come inevitabile effetto quello di trovarsi con un peso eccessivo dei mercati privati a causa della loro volatilità artificialmente bassa”. 

“I private markets sono quindi una forma di investimento da prendere in considerazione? Assolutamente Sì, a condizione però di approcciarli nel modo giusto e cioè come investimento a sé stante e di lungo termine. È infatti soltanto in quella prospettiva che possono dare il loro maggiore contributo, come peraltro è dimostrato dalle serie storiche di lungo periodo che comprovano rendimenti superiori alle asset class tradizionali”, conclude Martini.

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