Superare i bias comportamentali con strumenti idonei
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Superare i bias comportamentali con strumenti idonei
di Advisor Professional
La News
Non c’è nulla da fare, ciò che “imbroglia” gli investitori è il proprio cervello. Le reazioni umane sono frutto di decine di migliaia di anni di accumularsi di esperienze e istinti.
La nostra mente è infatti il frutto di una stratificazione di memorie storiche: provare a penetrare nei suoi recessi e cercare di comprenderla rappresenta quindi un affascinante viaggio nella nostra storia.
Tanto che per studiare questo “strano” comportamento umano è nata persino una branca della finanza chiamata proprio “finanza comportamentale”: e si pensi che uno psicologo, Daniel Kahneman, ha vinto un premio Nobel per l’economia proprio per i suoi studi sull’argomento (poi riassunti nello stupendo libro “Pensieri lenti e veloci”).
“Il nostro cervello si è evoluto nel corso di milioni di anni e presenta tre strati - ricorda Kent Hargis, Co-Chief Investment Officer di AllianceBernstein e gestore del fondo AB Low Volatility Equity (5 stelle Morningstar) - Al centro si trova il cervello primitivo, dal quale dipende l'istinto di attacco o fuga che ci tiene in vita.
A questo si sovrappone un cervello di mammifero più evoluto, dove hanno sede le emozioni, i ricordi e le abitudini che contribuiscono al nostro processo decisionale.
Il livello più alto delle funzioni cerebrali è la neocorteccia, che ci aiuta elaborare il pensiero, il ragionamento e l'auto-riflessione.
È questo, essenzialmente, che ci rende umani.
I segnali provenienti dalle regioni primitive del nostro cervello ci inducono a cercare il piacere e ad evitare il dolore. Questi stessi segnali, tuttavia, possono sopraffare la neocorteccia e indurci a tenere comportamenti irrazionali.
A mettere fuori gioco la nostra capacità di ragionamento contribuisce anche la propensione umana a temere il dolore molto più di quanto non si ami il piacere”.
Questo è un potente bias comportamentale: i nostri istinti ci portano quindi - nel campo degli investimenti - a rischiare di più per evitare una perdita piuttosto che per realizzare un guadagno. Insomma, l'avversione alle perdite prevale sull'avversione al rischio.
Tanto che un famoso esperimento ha quantificato che occorre guadagnare 250 dollari per compensare una perdita di 100 dollari.
Un secondo bias è quello della eccessiva fiducia nelle proprie capacità (overconfidence). La conseguenza in genere è quella di assumere sempre maggiori rischi sottovalutando le potenziali perdite come dimostrato dalle perdite sistematiche di gran parte dei trader rispetto agli investitori più prudenti.
Questi bias si possono declinare però anche in strategie di investimento: operare con titoli a bassa volatilità soddisfa la nostra avversione alle perdite e tranquillizza la nostra mente, e al tempo stesso riduce i titoli più esposti alle mode (quindi i Growth ad alta volatilità): titoli in genere sopravvalutati che gli investitori potrebbero privilegiare a causa dell'eccessiva fiducia.
“Una strategia di investimento azionario che miri a limitare la partecipazione ai ribassi, ossia l'esposizione alle flessioni del mercato, cogliendo al contempo buona parte dei rialzi del mercato aiuta a mitigare i bias comportamentali” riflette Hargis.
“Questo portafoglio teorico potrebbe essere strutturato in modo da incamerare il 90% dei guadagni del mercato nelle fasi di rialzo, partecipando ad appena il 70% delle perdite nelle fasi di ribasso. Ed è quello che puntiamo a fare con il nostro fondo AB Low Volatility Equity, con cui in un ciclo a lungo termine ha l’obiettivo di superare il mercato con minore volatilità.
Questa strategia dà realmente prova del suo valore nelle fasi di ribasso. Se attuata con successo, il portafoglio registrerebbe in media solo una flessione del 70% rispetto al mercato più ampio, perdendo cioè il 30% in meno rispetto al mercato.
Questo rende i ribassi più digeribili, contrastando il bias dell'avversione alle perdite che potrebbe spingere gli investitori a uscire dal mercato prematuramente. La strategia in questione può anche contrastare l'eccessiva fiducia degli investitori nella propria capacità di prevedere i punti di svolta del mercato, cosa quasi impossibile da fare”.
Del resto, la cosa appare anche intuitiva: i titoli che subiscono le minori perdite nelle fasi di ribasso hanno meno terreno da recuperare nelle fasi di ripresa.
Di conseguenza, possono risalire da una base più alta nel corso dei rally successivi.
“Inoltre, per quanto si possa pensare che una strategia a bassa volatilità tenda a sottoperformare nel tempo, storicamente è accaduto esattamente l'opposto – rivela il gestore di AB Low Volatility Equity - In un test da marzo 1986 a giugno 2023, abbiamo riscontrato che un portafoglio 90%/70% produrrebbe rendimenti annui superiori di 3,1 punti percentuali a quelli dell'MSCI World Index, e con una minore volatilità.
La chiave per costruire un simile portafoglio sta nel privilegiare i titoli di alta qualità con un andamento regolare e valutazioni interessanti.
I gestori attivi che si avvalgono di una ricerca fondamentale ponderata forniscono un maggior numero di leve per gestire la volatilità: un aspetto di cruciale importanza nell'attuale contesto di tassi più elevati, incertezza macroeconomica e instabilità geopolitica”.
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