18/09/2023

BRICS allargati: cosa significano e perché

La News

Nel tempo si sono sprecati gli acronimi che designano blocchi di Paesi emergenti, da BRIC (e poi BRICS con l’aggiunta del Sud Africa) a CIVETS.

Ora però il blocco originario dei BRICS cresce, si allarga di sei nuovi Paesi e questo suggerisce l'aspirazione a un nuovo ordine mondiale.

 

“Il gruppo ha recentemente annunciato l'intenzione di aggiungere ai suoi ranghi Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti” segnala Paul Greer, Senior Trader per i mercati emergenti nella divisione Fixed Income di Fidelity International.

“La notizia fa pensare alle aspirazioni di un nuovo ordine economico, dato che la quota combinata del blocco allargato dell'attuale PIL mondiale, pari a circa il 30%, si sta avvicinando alla fetta di torta in calo del G7 (43%). Ed è circa il triplo rispetto al 2001, quando l'economista di Goldman Sachs Jim O'Neill coniò per la prima volta il termine BRICS”.

 

Ma se si guarda più da vicino, il nuovo BRICS assomiglia molto a quello vecchio.

La quota della Cina sul PIL mondiale, pari al 18%, rispetto al 3,9% del 2001, supera quella di tutti gli altri. L'India (ora al 3,3%), il Brasile (1,9%) e la Russia (2,2%) hanno registrato guadagni molto modesti negli ultimi due decenni, mentre il Sudafrica, che si è aggiunto al gruppo in un secondo momento, ha mantenuto la sua fetta di produzione globale (0,4%).

Supponendo che tutti e sei i nuovi invitati entrino a far parte del gruppo, essi apportano complessivamente il 4% del PIL globale (l'adesione dell'Argentina è incerta, poiché entrambi i principali candidati alle elezioni presidenziali di ottobre sono contrari).

 

Tra gli obiettivi del nuovo blocco BRICS allargato c’è anche la volontà di smantellare l’uso del dollaro Usa, sia tra di loro sia con i loro partner commerciali, esplorando nuove opzioni intra-BRICS.

Complicato, visto che il dollaro rappresenta il 59% delle riserve globali e la metà del commercio mondiale.

“Il renminbi cinese è l'unica valuta dei BRICS con una quota di riserve globali allocate abbastanza elevata (2,6%) da essere riportata in modo indipendente dal FMI al di fuori delle "altre valute" – continuaGreer - Le altre sono valute del G7. È probabile che nessuna minacci il dominio del dollaro per almeno una generazione. Senza contare che la quota dei BRICS nel commercio mondiale, pari al 16%, è meno della metà di quella del G7 (33%)”.

 

Il punto di forza dei nuovi BRICS consiste nel dare maggiore voce al "Sud globale" quando si tratta di questioni di diplomazia multilaterale.

Con l'eccezione degli Emirati Arabi Uniti, secondo i dati della Banca Mondiale, la nazione più povera del G7 (il Giappone) sta meglio di tutti i membri del BRICS allargato, in termini di PIL pro capite.

 

“Può sembrare un'ovvietà, ma le priorità economiche e politiche dei Paesi in via di sviluppo (come i BRICS) e dei Paesi più ricchi (come il G7) non sono sempre in linea” riassume il trader di Fidelity.

“Ad esempio, di recente sono emerse grandi differenze su tutto, dalla guerra in Ucraina agli obiettivi globali di decarbonizzazione, fino alla rappresentanza nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Se inizialmente O'Neill vedeva i BRICS come un fenomeno economico, oggi sembra sempre più che il peso del blocco si stia spostando verso l'arena diplomatica”.

 

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