Approccio contrarian con Value e small cap
27/01/2023
Approccio contrarian con Value e small cap
di carlo.colosimo
La News
Le stime secondo le quali si sarebbe potuta verificare una crescita degli utili per azione (EPS) a singola cifra media lenta negli USA e in Giappone, e ancora più lenta in Europa, sembra ora eccessivamente ottimistica: non va infatti dimenticato che in passato le recessioni hanno generalmente provocato, specie negli USA, un significativo calo degli utili.
Justin Thomson, Head of International Equity e CIO di T. Rowe Price delinea per gli utili statunitensi tre possibili scenari, relativi ad un atterraggio morbido, ad una recessione “normale”, ad una recessione verso margini di profitto più alti.
Secondo Sébastien Page, Head of Global Multi-Asset e chief investment officer, “anche se le valutazioni azionarie negli Stati Uniti si sono drasticamente ridotte nel 2022, a fine novembre il P/E dell’S&P 500 era ancora relativamente alto in termini storici. L’eccesso di liquidità e la domanda da parte degli investitori passivi potrebbero puntellare il P/E dell’indice, esponendo a un’ulteriore compressione qualora gli utili dovessero deludere”.
In questa rotazione, nel lungo termine, lo stile value dovrebbe trarne benefici. I titoli value, infatti, hanno sempre sovraperformato quelli growth nei periodi di inflazione elevata: uno dei motivi è che l’inflazione più calda tende a spingere verso l’alto i tassi di interesse, finendo per appiattire i margini sui prestiti per le banche, a discapito del value.
Anche le small cap USA potrebbero offrire buone performance, ma solo se l’economia si risolleverà dalla recessione. “In media gli utili delle small cap sono risaliti più rapidamente di quelli delle large cap nelle fasi di ripresa economica”, segnalano gli analisti di T. Rowe Price.
Thomson comunque esora alla cautela e invita a non pensare alle small cap come universo omogeneo: “E’ un’asset class varia, in cui i segmenti più ciclici dovrebbero comportarsi bene e uscire dalla recessione, ma i growth potrebbero essere meno brillanti”.
Anche i mercati non statunitensi potrebbero essere piuttosto attrattivi. Le ragioni sono molteplici: innanzitutto i titoli value sono meno ponderati nei principali indici USA rispetto alla maggior parte degli altri mercati; settori come energia e materiali sono meglio rappresentati in mercati azionari non USA, specie in quelli emergenti; il de-rating delle grandi società tecnologiche è solo all’inizio, e i big sono sottorappresentati in quasi tutti gli indici azionari.
Infine, per chi investe in US, un’inversione di rotta del dollaro forte sarebbe di incentivo alle performance in valuta locale sui mercati non USA. Piazza interessante potrebbe essere quella del Giappone, dove l’economia potrebbe avere un’impennata e far quindi crescere la domanda domestica e con essa le azioni delle aziende nipponiche.

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